Cassonetto – cas|so|nét|to

lemma di origine veneta (tardo XVI Secolo) nato dal popolare uso tipicamente meretricio di concludere la prestazione ripulendo il membro del cliente contro il più vicino muro in bugnato o, al limite, in pietra a vista.

Il cassonetto moderno deve la sua introduzione al Doge Arturo Guardalamazza (1715) che per salvaguardare la buona salute dei propri concittadini, nonché le ridotte finanze della Repubblica, già duramente provate dal salario degli scalpellini, fece collocare appositi parallelepipedi in broccato o velluto, decorati con arazzi rappresentanti scene di caccia (a tal proposito si ricorda il memorabile “cassonetto dell’uccellone”, conservato presso la galleria Spolpavicoli di Vigevano) agli angoli delle calli e dei campi maggiormente frequentati dai cittadini in vista.

Ispirati da questa iniziativa i Veneziani di ceto inferiore, ma non per questo meno avvezzi alla pratica del cassonetto diedero il via a un collocamento parallelo di cassinetto utilizzando materiali di più facile reperibilità come cuoio, tela di lino e legno, creando talvolta veri e propri esempi di arte povera, di cui purtroppo non restano che poche tracce.

Un moderno cassonetto

Il cassonetto moderno deve la sua origine proprio a questa variante povera: costruita a partire da un telaio in legno, e dotata di un coperchio removibile fu presto utilizzata dal popolino come anfratto ove occultare i sempre più numerosi rifiuti casalinghi, pratica malvista sino al tardo XIX secolo, come testimoniato dal libello satirico “confutazione sull’utilizzo improprio del nettacassi” pubblicato dal Lungagnoni, collega e amico di Giacomo Casanova.

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