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Panchina – pan|chì|na

Dal greco Πανκινεμα (Pànkinèma: lett. “di tutto il movimento“) successivamente eliso nella forma nota Πανκιμα (Pànkina), elemento Aristotelica teorizzato nella “Poetica” ma scarsamente utilizzato nella rappresentazione tragica.

Introdotta come una variante del από μηχανής θεός (apò mekanès theòs), negli allestimenti prevalentemente bucolici del teatro antiepico, questa unità teatrale si componeva di una struttura fissa posta al limitare del proscenio e da due coristi seduti su di essa, orientati con la schiena verso il pubblico.

Il compito dei suddetti coristi è tuttora discusso, alcuni, come il Prof. Vladimiro Guagliadori, sostengono che i Πανκιναρής (Pankinarès), non fossero altri che due personaggi secondari pronti ad intervenire per lenire le sofferenze del protagonista; a riprova di ciò il Guagliadori ricorda l’intenso utilizzo di questo artificio da parte del Tragediografo Eoravo di Ventotene, noto anche per aver incrementato oltre la norma il numero di Pankinarès, dando così vita alla famosa Πανκιμαλυνγα (Pànkinalunga).

L’interpretazione del Galinzelli differisce sensibilmente, attribuendo ai Pankinarès il ruolo di amplificatori del Pathos scenico, i due attori difatti trascorrevano il tempo dell’intera rappresentazione rappresentando una coppia di anziani seduti che, indossando un tipico copricapo, commentano ad alta voce lo svolgimento del dramma, con toni di profonda disapprovazione tra una scatarrata e l’altra. Il particolare nome è dovuto infatti alla consueta formula di apertura dei commenti che sottolineava come “di tutto il movimento che fanno questi giovani ai nostri tempi ne avremmo fatto il doppio” (dalla Lisergica di Filtrippete)

La sottile critica tipica dei Pankinarès ha lasciato in effetti profonde tracce nella cultura mediterranea, al punto da trasformare uno stratagemma da palcoscenico in una figura iconica al pari delle più diffuse maschere regionali, come cita il Carducci:

[…] non è infrequente infatti, passando attraverso un paesino di campagna, notare i singolari assembramenti di anziani che, in ossequio a questa antica tradizione bucolica, siedono profondamente incarogniti con tutto ciò che li circonda.

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Un raro esempio di Monopanchinia 

In seguito al Regio decreto legge n. 236/1915 la Panchina è diventata ufficialmente patrimonio culturale Italiano, generando quindi la grandissima diffusione degli appositi supporti per anziani col cappello, disponibili oggi in numerose varianti a testimonianza di un retaggio culturale ben lungi da scomparire.

Diossina – di|os|sì|na

Dal nome del famiglio malvagio Sihina, servo fedele di Angra Mainyu, lo spirito delle tenebre, violenza e morte nel Mazdeismo, presentato spesso come “l’invisibile assassino” o più raramente con l’appellativo di ” composto organico eterociclico“, introdotto nella lingua italiana da Giacomo Leopardi nella sua ode “Ad Adda Adderò:

[…] ivi sta il dio Sihina, padre delle storture ed effusore di miasmi

Da sempre identificato come il portatore del disagio nel praticare un culto del fuoco in spazi ristretti e mal areati, ha progressivamente acquisito adoratori con l’avvento della civiltà industriale, arrivando ad una vera e propria rinascita a ridosso degli anni ’60.

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Il culto odierno ha ormai perso ogni connotazione di quella clandestinità che lo contraddistingueva agli inizi; parimenti le numerose tendenze sincretiche hanno modificato radicalmente le liturgie proprie del culto, dimostrando una notevole apertura a idee innovative quali i massicci ritrovi collettivi (memorabile anche il famoso happening tarantino dei giovani Sinnici) nella storia recente.

Le possibilità di onorare il dio Sihina, in qualsiasi modo e momento hanno reso questo culto uno dei più diffusi e apprezzati del mondo, eventuali previsioni future sulla sua diffusione sfuggono a qualunque calcolo.

Transenna – tran|sèn|na

Neologismo composto risalente ai tardi anni ’90: dall’originale latinismo trans-Senna (lett. “attraversatore di piloti Brasiliani“) coniato sotto la doccia dall’opinionista Paolo del Debbio, raggiunse il grande pubblico con il più generale significato di “piantone dello sterzo perniciosamente oftalmologico“.

Il significato del termine si ampliò ulteriormente dopo gli eventi del Roskilde festival nell’estate 2000, diventando il successivo “generica struttura di acciaio tendenzialmente nociva” la cui diffusione è dovuta soprattutto all’opera di arricchimento culturale di alcune associazioni giovanili caratterizzate dal viscerale amore per la lingua italiana e dalla tendenza a non accettare rifiuti.

Proprio durante uno dei loro ultimi summit, l’Unione Linguistico-Transitoria “Rifacciamoci Alla Storia” ha imposto con forza l’utilizzo della transenna, come utile strumento di comunione fraterna tra sconosciuti di ogni età, ispirandosi a quanto accaduto in occasione del famosa kermesse genovese della società filologica mondiale; in cui è stato ampiamente dimostrato come la transenna sia uno strumento fondamentale per ridurre le differenze culturali a nulla più che una macchia sull’asfalto.

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Ed è proprio grazie a questo utilizzo massiccio da parte delle forze dell’ordine della transenna come strumento ecdotico, che il termine ha potuto godere di un definitivo sdoganamento culturale; dando vita tanto a neologismi (ne è un esempio il famoso transenna-mento, che il fulgido del Debbio definisce come “Movimento atto ad appianare le divergenze o, quantomeno, i connotati” ) quanto alle moderne strutture metalliche usa e getta.


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