Dal greco μοτοσ (mòtos: “tiro di cavalli nani“) e επτα (epta: “sette”), congegno costruito da “Esborone il giovane” nipote di Erone il vecchio, già famoso per l’invenzione della prima pentola a pressione che “affetta taglia sminuzza e frulla mentre cuoce[..]“(dall’introduzione della “Pneumatica“).
Tale meccanismo come dice il nome consisteva in un innovativo carro a sette ruote e cinque assi, trainato da 12 equini di ridotte dimensioni: l’alto numero di cavalli, unito alla tenuta di strada di una Fiat Duna (con tre gomme sgonfie), rendevano questo mezzo di locomozione l’ideale per sfrecciare a tutta velocità accanto agli ignari pedoni per poi capottare al primo rettilineo tra il giubilo dei bambini.
Gli sforzi pionieristici del giovane Esborone, lo condussero a successive sperimentazioni variando il numero di ruote e la disposizione dei cavalli, come la fallimentare μοτορενδεκα (motoréndeca, dotata di undici ruote e quattro assi di cui uno di scorta); conclusesi tutte con grandi soddisfazioni personali e sostanziali contributi all’Odontoiatria conservativa, fino al giorno in cui, l’illustre zio Erone non pose veto (“brisa fèr l’esan” in greco) a sperimentazioni ulteriori, considerando la scienza del nipote non adatta al tempo.
I progetti della μοτοροπτα (“motorotta“: come Esborone aveva preso affettuosamente a chiamarla) furono così accantonati e dimenticati fino ai primi anni ’70, quando un promettente ingegnere, scoprendo uno dei crateri celebranti il primo speranzoso varo della motoretta venne folgorato dall’intuizione del genio precoce e la riadattò per poi presentarla a tutto il mondo:
Parallelamente, il termine motoretta era entrato a far parte del linguaggio comune con il significato di “pericolo circolante su ruote estremamente rumoroso e probabilmente truccato“, dove rimase radicato sino al secondo dopoguerra, quando venne definitivamente legato ai primi modelli di motocicli leggeri.